AIG Gruppo Marciatori Livornesi
  Come, quando, perché
 

Questo spazio è dedicato a tutti i podisti che vogliono raccontare in prima persona la loro storia

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Come, quando, perché" l'atleta e podista Franco Terreni.

 

 

Perché si corre? Si corre per tanti motivi, si corre per buttare giù la pancetta, perchè l'ha consigliato il medico, per sfilare sulla passeggiata a mare con l'abbigliamento  all'ultima moda, perché lo fanno tutti, ma principalmente perché correre piace, è bello e ti dà una sensazione di benessere fisico e mentale da paragonarlo ad una droga. Quando si inizia a correre non si mette più e, se sei costretto ad una temporanea interruzione, ti manca qualcosa, ti manca il sentirti vivo, la compagnia e le conoscenze che si fanno durante la corsa, ti manca la sensazione fisica della fatica, ti mancano quei minuti che precedono la partenza, stretti l'uno all'altro, spalla a spalla con il naso saturo degli dori dei vari unguenti…miracolosi e poi… lo sparo che t' invita a correre, a correre fino all'arrivo. Si inizia con la corsetta sul mare, poi un amico ti trascina a partecipare ad una di quelle corse domenicali dove mille, duemila ed in alcuni casi, anche seimila partecipanti possono scegliere la lunghezza ed il percorso più adatto alle proprie capacità. Attenzione, quello è l'inizio, correre per 5 km. è facile e difficile nello stesso tempo, ma poi ci si riesce e quella distanza non ti soddisfa più. Si passa allora a 12 km. …, a 16, a 20 , a 25, alla maratona di km. 42,195, alla 12 ore ed infine a quella che tutti i podisti principianti sognano, la corsa più bella del mondo, la "100km. del Passatore" !Ho iniziato così anch'io, un amico per scommessa mi invitò a partecipare ad una gara di 5 km. che si sarebbe svolta nel rione Sorgenti. Che avventura !Ai piedi avevo quelle che si chiamano scarpe da tennis (quelle che dopo averle portate per un paio di ore, quando arrivi a casa devi mettere fuor di finestra;indossavo una vecchia tuta con la scritta "Nautico", ricordo di quando diciottenne frequentavo quell' Istituto ed in testa un cappellaccio perchè ero già mezzo calvo. Persi la scommessa: dovetti camminare per 4,6 km. ed arrivare al traguardo completamente distrutto ma con addosso una sensazione strana che allora non sapevo cosa fosse. La cosa strana che non riuscivo a capire però, e che mi frullava nella testa, era questa domanda: perchè lo fanno, chi glielo fa fare, ma sono matti ? L'unico giorno che si può dormire fino alle 12,30', questi si alzano  alle 6,00' per essere puntuali alla partenza. A distanza di pochi mesi l'ho capito  e sono diventato uno di loro … un matto per la gente comune (una volta qui a Livorno, mentre passavamo davanti ad un gruppo di "spettatori" ho sentito questa battuta: " Corrono perché i debiti li rincorrono"). Ho lavorato fino all'anno scorso, 7,30 -12,30 / 15,00-19,00, facevo il gommista, ma quando terminavo di lavorare, scarpette ai piedi e via, le mie due ore giornaliere non me le toglieva nessuno e quando in seguito mi fu possibile fare festa tutti i giovedì mattina,mi alzavo prestissimo in modo da poter partire alle 6,00' e tornare alle 12,30'. Erano allenamenti favolosi in ambienti di campagna,tra boschi, laghetti, viottoli, campi lavorati, profumi di erba, di fiori selvatici in un silenzio irreale rotto solo dal cinguettio degli uccelli. Quando lavoravo la sera mi allenavo sul lungomare e tornavo a casa dopo aver corso per due volte da Barriera Margherita a Miramare, stanco ed affamato. E tutto quello che sono riuscito ad ottenere in ambito sportivo-amatoriale lo devo a mia moglie Maura che mi ha sopportato quando non potevo correre (ed ero nervoso),quando doveva cenare da sola e quando l'ho portata in giro per l'Italia a gareggiare. Dopo aver corso per quattro anni nelle marce domenicali acquistai un camper usato e quello fu un colpo da maestro; a mia moglie piaceva viaggiare e così tutti i sabati alle 12,30' partivamo per partecipare ad una maratona. Di competitive a quei tempi non ce ne erano molte,ma un amico conosciuto durante una corsa, Franco Toschi, (credo che sia quello che detiene il record del maggior numero dei chilometri percorsi ) mi portò a conoscenza che esisteva una specie di  bibbia del corridore:un libro di 200 pagine circa con elencate tutte le corse non competitive che si svolgevano in Italia, con date, indirizzi, numeri di telefono e località di partenza. Quante maratone non competitive ho fatto grazie a quel libro, circa 50, posti bellissimi, paesaggi indescrivibili e tanto volontariato, volontariato che riesce ad organizzare corse con una partecipazione media di circa 2-3000 persone e con percorsi che vanno dai 2 ai 42 chilometri,completamente lontani dalle strade (le automobili si rivedono quando si taglia il traguardo). Tra le marce non competitive la più bella in assoluto per me è "la Marcia dei Forti", che si effettua a Folgaria, con un percorso che si svolge in montagna attraverso le trincee ed i resti dei forti austroungarici, ancora parzialmente visibili, e con i ristori (quasi sempre ogni 5/6 km. c'è un vero e proprio ristoro con acqua, tè, vino , biscotti, frutta di stagione e zucchero) allestiti da vecchi alpini con l'immancabile cappello con la piuma che ti spronano ad andare avanti. La mia prima maratona competitiva fu quella di Carpi, poi ne seguirono altre 42 in varie città d'Italia (sono così preciso perché ogni volta che facevo una gara la segnavo su un diario. Come vi ho detto all'inizio, l'appetito vien mangiando, infatti dopo la maratona incominciai ad allungare il chilometraggio settimanale in modo da essere pronto per fare una 50 km. e precisamente la 50 km. di Romagna. Ci riuscii e per un po' mi accontentai, ma poi ricominciai a pensare ad altre prove podistiche: la 33 Miglia di Lucca di 61 km., la Sarzana -Campocecina (60km.), la favolosa TA.JU.TA di 71,5 km. :la partenza avveniva da Tarcento e dopo 15 km. si entrava in territorio jugoslavo che si percorreva per circa 35 km. Quelli erano tempi particolari ed i concorrenti dovevano portare con sé la carta di identità, infatti in quella che allora era la Jugoslavia le ronde armate ci dovevano identificare; il traguardo era a Tarvisio. C'era poi una corsa che mi ispirava amore-odio, la massacrante Pistoia-Abetone di 53 km. Ne ho terminate otto, ma annientato dalla stanchezza, tre non le ho finite. Anni addietro venivano organizzate altre corse, mi riferisco ad es. alla "12 Ore di corsa". Volli fare anch'io questa esperienza: la partenza avveniva alle 6,00' e l'arrivo (per chi ce la faceva) alle ore 18,00'. Non sono mai stato un velocista ma un diesel sì. Ho sempre corso di forza ed in questa specialità sono sempre riuscito bene. Quante scarpe ho consumato !  Sono sempre stato un po' pesante e quindi più di 2000 km. con un paio di scarpe non riuscivo a farli e perciò ogni anno mi occorrevano  due paia di scarpe. Resta la più bella corsa del mondo,la corsa per eccellenza, la 100 KM. DEL PASSATORE, lei ti vuol vedere in faccia, non puoi bleffare, sono 100 km. e li devi fare tutti, di corsa, a passo svelto, a passo, zoppicando, in ginocchio: l'importate è terminarla. E qui se non sei preparato atleticamente son dolori: galle ai piedi, ascelle, capezzoli, parti basse sanguinanti sono i nemici principali di un "centista"; bisogna bere tanto perché partendo alle 15,00 sul percorso fa molto caldo e occorre mangiare perché l'organismo ha bisogno di benzina per correre. Nel 1988 andai a veder la partenza di questa corsa in Piazza della Signoria, a Firenze, e la seguii fino in cima alla Colla di Canaglia. Ormai ero fregato, avevo un anno inero per prepararla e l'anno dopo ero là anch'io insieme ad altri 6.000 matti di tutte le età.

Si parte per quella nuova avventura  e che avventura … La prima salita ci viene incontro con il sole che ci guarda dall'alto, la salita di Fiesole, poi Vetta Le Croci, Borgo San Lorenzo … e poi la salita da 195 m. a 913 m. di altitudine (vi si arriva a notte fonda). Quanta gente sul percorso ! Persone che non hai mai visto e che ti fanno forza, ti offrono da bere, da mangiare, una spinta una pacca sulla spalla, sono queste le cose che ti resteranno nella mente finchè la memoria ti aiuterà. E riparti ed ora c'è la discesa, si riscende e le gambe girano che è un piacere, ma per poco, anche se siamo in discesa le gambe iniziano a far male e con la pila cerchi di schivare le buche dell'asfalto. Mia moglie mi ha sempre accompagnato in tutte le gare che ho fatto fino ad ora ed era lei che mi faceva l'assistenza alla "100 Km." ; quello che mi faceva stare bene però, non era il portare da bere, da mangiare, magliette di scorta, era il fatto che era con me, viveva la corsa guidando l'auto, ma soffriva e gioiva per tutto il percorso fino alla gioia ed alla foto che mi scattava all'arrivo. E' difficile per un profano riuscire a capire cosa vuol dire non sentire più le gambe e tuttavia comandar loro di continuare a muoversi: non corri più perché loro non ne vogliono più sapere, cominci a pensare di ritirarti, a un bel bagno caldo ad un bel materasso accogliente morbidissimo. E qui entrano in gioco tanti fattori, pensi a tutte le ore passate ad allenarti, a quelli rimasti a casa che aspettano una telefonata, a mia moglie che era stata sveglia tutta la notte a tutti quelli che ti avevano incoraggiato lungo il percorso, a tutti i chilometri già percorsi, ed allora riparti, prima piano piano, poi, se sei,allenato veramente, cominci a corricchiare spedito e trovi  Sant'Adriano…  San Cassiano … Casale … Fognano … Brisighella … (com'era bello questo paese ! Mancavano solo 10  chilometri !), Errano … e poi il tappeto rosso in terra … gli applausi … gli ultimi 100 metri … le foto … il traguardo … la medaglia al collo … "ce l'ho fatta !" l'ho gridato per nove volte. (Per tre  edizioni mi sono ritirato). L'ultima volta che ho partecipato è stato nel 2006 ed il più bel premio che ho ricevuto è stato quello di mio figlio, un sms "babbo, sei una roccia …, ma chi ti ferma ! "

ELENCO CORSE DAL 1985 AL  2008.

49 maratone non competitive 

43 maratone  competitive 

5 Firenze-Reggello di km.37

14 "50 chilometri"

6 Sarzana-Campocecina di km.60

3  33 Miglia di Lucca di 61 km.

4 Ta.Ju.Ta. di 71,5 km

8 Pistoia-Abetone di km.53

4 "12 Ore"

9 "100 km. del Passatore"

 

                                     

 

 

il "COME QUANDO PERCHE’" DI PAOLO COEN

PRIMA PARTE (OVVERO RAMBO 1): LA CARTOLINA

 

I miei “primi passi” podistici avvennero nel 1975. Rientrato alla Stanic di Livorno dopo 2 anni trascorsi alla raffineria di Bari, mi guardai allo specchio e non mi piacqui. Avevo 40 anni ma ne dimostravo 60. Pesavo 92 chili (12 chili in più regalati dagli eccessi alimentari pugliesi), continuavo ad essere un ottimo mangiatore, bevevo una bottiglia di vino a pasto ed ero un accanito fumatore di pipa e sigari toscani. Ma ai primi accenni di attacchi acuti di uricemia, le analisi del sangue ed i consigli del medico Stanic (dott. Mozzanti) mi costrinsero a ridurre gli eccessi alimentari e a fare un po’ di moto. Fu così che entrai a far parte del gruppo podistico Stanic, che allora partecipava solo al torneo delle Industrie, fino a fare il gran salto qualitativo: iscrivermi agli Amatori Livorno (a quel tempo il presidente degli Amatori, Luigi Mannocci, lavorava come dipendente Siticem in Raffineria e la sede degli Amatori era presso il Cral Stanic).Le prime frequentazioni delle corse podistiche nell’ambito livornese-pisamo si rivelarono fallimentari: in pratica corricchiavo con grande sforzo la domenica ed ero costretto a riposo per tutta la settimana per recuperare lancinanti dolori muscolari.

Ben presto però ho cominciato a prenderci gusto: diminuito notevolmente di peso ed abbandonato il sigaro toscanello, ho cominciato a fare i percorsi insieme con gli altri Amatori. Ovviamente si trattava dei meno dotati, che rappresentavano il fanalino di coda del gruppo. Poi, piano piano, risalii la china fino a portarmi a circa la metà del mio gruppo. Infine, la svolta. Si correva a Rosignano Solvay una semi-competitiva con premi in natura per le varie categorie ed io, già quarantenne, mi impegnai a fondo per vincere un premio tra i seniores. Molti del mio gruppo, più giovani, se la presero comoda dato che i premi nelle categorie giovanili erano di sicuro appannaggio dei gruppi competitivi. Arrivato al traguardo e dopo un po’ che aspettavo, acquistai, compilai, ed imbucai una cartolina postale indirizzata a Luigi Mannocci presso la Sede degli Amatori Livorno.

“Stanco di aspettarti al traguardo ti invio cordiali saluti da Rosignano”. La cartolina fece scalpore e mise in evidenza lo spirito agonistico che c’era in me. Negli anni che seguirono (1976-77: in seguito fui trasferito a Roma) continuai a migliorare: avevo raggiunto il “peso forma” di 72 chili e nel mio gruppo cominciai ad essere guardato con tutto rispetto. E da qualcuno con il timore che la simbolica “cartolina” potesse arrivare anche a lui. “Stai attento Canzio che ti arriva la cartolina” sentii ripetere più di una volta. Correvo alla pari col grande Canzio Nevini, l’idolo di molti podisti livornesi: furono degli anni che ricordo davvero con piacere.

 

2a PARTE (OVVERO RAMBO 2): IL SEGRETO DEL CANE DA SLITTA

 

“Mi piace correre!” Me lo ha ululato un cane da slitta che mi ha superato nel corso della  corsa del Trofeo Tre Provincie a Marina di Pisa nell’ Ottobre 2000. L’avevo incontrato pochi minuti prima, alla intersezione della 12 Km con la 18, in procinto di essere imbracato ed essere attaccato insieme a sette altri Huskies, ad una specie di piccolo trattore che simula la slitta sulla neve. Data la pesantezza del mezzo, uno sparuto gruppo di curiosi osservava le operazioni di attracco ed impietositi per il latrare dei cani (una vera e propria “canea”) commentava: “poverini”! Mi sono avvicinato anch’io incuriosito e fra il tanto latrare sono però riuscito distintamente ad interpretare gli ululati-parole del capo branco. “Poverini voi! Infagottati nei vostri cappotti! Guardate piuttosto questo atletico podista (indicando col muso me) come corre libero e felice in mutande !”(faceva un freddo boia). Le parole del cane (ormai riuscivo a interpretarle benissimo) mi hanno inorgoglito notevolmente per cui ricordandomi del film “l’uomo che sussurrava ai  cavalli” ho deciso di sussurrare agli orecchi del cane un quesito che mi tormentava da tempo.

“Ma chi te lo fa fare?” mi dicono spesso i miei migliori amici  “non mi dire che ti diverti a fare una maratona od una 100 Km!”

Io rispondo invariabilmente che sulla maratona o la cento, la marcialonga o la Vasaloppet ho vissuto le emozioni tra le più belle della mia vita. “E a voi, chi ve lo fa fare di poltrire alla televisione?”. Non sono mai riuscito a convincerli. Come non sono mai riuscito a convincerli che la domenica mattina sia più divertente svegliarsi alle cinque per andare al trofeo delle tre province piuttosto che rimanere a letto fino alle nove.

Mi sono fatto coraggio ed ho chiesto al cane da slitta, che ormai mi era diventato simpatico, se i latrati suoi e quelli dei suoi compagni erano un segno di gioia o di dolore. “Di gioia! Ci mancherebbe! Finalmente una giornata di fresca tramontana e la gioia di una corsa in pineta! La vedi questa imbracatura? E’ il segno che finalmente si corre! Per noi cani da slitta non c’è niente di più bello e appagante! Quello che voi uomini chiamate “canea” è il dare libero sfogo alla nostra gioia di correre. E questi latrati di eccitazione che senti adesso sono niente in confronto a quello che è successo al canile ai primi di settembre: dopo due mesi di straziante riposo nel caldo più insopportabile (tanti di noi guaivano per lo sconforto in continuazione, altri cercavano di consolarsi dormendo il più possibile) un giorno il nostro amico-istruttore ha deciso di tirar fuori le imbracature. Era il segnale che aspettavamo da tempo. L’estate e l’ozio erano dunque ormai al termine. Abbiamo fatto un’ora di canea.”

Gli ho dato una carezza sul collo ed ho chiesto come si chiamava. “Black” mi ha risposto. “Go Black, Go” lo ho incitato ricordandomi l’incoraggiamento che ci aveva tanto sostenuto alla maratona di New York. Mi ha salutato con un latrato ed io mi sono rimesso in marcia per completare il mio giro in pineta. Avevo capito tutto e mentre correvo per raggiungere gli amici  che avevo lasciato poco prima, mi sentivo felice anch’io. Avevo trovato la risposta a chi mi chiede “Chi te lo fa fare?”.

Pochi minuti dopo avevo già raggiunto i miei compagni di corsa quando alle spalle abbiamo nuovamente sentito la canea. Era il rudimentale mezzo trainato dai cani da slitta in allenamento, che in breve ci ha superato.

“Mi piace correre!” mi ha gridato allegramente Black al momento del sorpasso.

Ho accelerato il passo e ho risposto con convinzione: “anche a me!”

 

3a PARTE (OVVERO RAMBO 3):
 MONDIALI MASTER 2005



“Mi piace correre!” Il segreto che il cane da slitta mi aveva sussurrato all’orecchio quella domenica a Marina di Pisa  ha avuto un seguito. Come Rocky 2, come Rambo 3 (la vendetta).

Ma quando ho proposto a mia moglie di passare la fine di Agosto a San Sebastian, deliziosa meta turistica che avevamo conosciuto 45 anni fa in viaggio di nozze, non si aspettava proprio che dietro la proposta si celasse quella voglia di competizione che, sotto sotto, fa capolino in tutti i podisti.

Abbiamo fatto così un patto turistico-sportivo: l’iscrizione ai campionati del mondo master alla condizione di rispettare le esigenze di una vacanza come si deve, compresi giri turistici, ristoranti, spiagge, negozi, ricordini per parenti ed amici.

La parentesi sportiva era relegata a puro titolo di partecipazione tanto che, in omaggio a de Coubertin (l’importante è partecipare) mi sono iscritto a ben 5 gare, dagli 800 metri alla maratona.

Devo dire che la componente turistica è stata al di sopra delle aspettative: la variopinta moltitudine dei partecipanti ai mondiali (oltre 6000) era ovunque accolta con simpatia e, dotata di tessera di libera circolazione sui mezzi pubblici, sciamava in giro per la città. Stupenda la spiaggia, raccolta in una insenatura profonda. Bellissima la città vecchia, piena di vita con i suoi bar dai banconi ricolmi di ogni genere di variopinti spuntini. Affascinante il porto e l’acquario. Notevoli i giardini e le ville, un tempo riservate ai monarchi ed ora aperte al pubblico. Infine le cose più belle: la vista dall’alto dal monte Igueldo (mozzafiato) e le maree (il mare che si ritira per decine di metri). Oltre alla parte turistica “in loco” non poteva mancare una gita organizzata di un giorno a Bilbao ed un giorno a Lourdes. Proprio una bella vacanza.

Inutile dire che la moglie è rimasta soddisfatta: dal punto di vista turistico la gita si è rivelata largamente superiore a quelle sia pur belle di Vienna e di  Barcellona.

Ma veniamo  alla  parte sportiva dei campionati. Chi nei campionati Master, aperti a tutte le categorie di età fino a 100 anni, si aspetta una sorta di patetica competizione tra disabili, si sbaglia di grosso. A parte il fatto che a partire da quest’anno la categoria Master inizia a partire dai  35 anni di età, anche nelle età più avanzate si sono riscontrate prestazioni di tutto rilievo. E nella mia categoria, 70 anni rigorosamente compiuti, c’erano fior di vecchietti tirati a lucido e senza un filo di grasso. L’emozione della prima gara (i 5000 metri) è stata grande. Il giorno precedente la gara la cerimonia della conferma della partecipazione, con la apposizione della propria firma sull’elenco partecipanti. Come a dire: sei proprio sicuro di voler partecipare? Poi, un’ora prima della gara, la presentazione all’addetto ai concorrenti nella cosiddetta “stanza di chiamata” adiacente allo stadio, con apposizione del numero di gara . Si  comincia a fare veramente sul serio e si prende finalmente visione degli avversari, suddivisi in due semifinali tanto alto era il numero,  provenienti da ogni parte del mondo e dall’aspetto temibilissimo. Poi l’emozione dell’ingresso nello stadio gremito, tutti insieme al seguito dell’addetto ai concorrenti. Poi l’appello conclusivo, agli ordini dello starter. Infine il comando imperioso: “ai vostri posti!”. Il posto viene assegnato lungo una linea curva, per tenere conto della distanza dalla corsia interna, di cui il giudice di gara controlla rigorosamente che nessun piede sopravanzi la linea. Il cuore batte forte ed il colpo di pistola è una specie di liberazione. Finalmente, la corsa. Finalmente la conferma: mi piace correre. Mi piaceva ancora, come al cane da slitta malgrado i suoi legacci. Mi piaceva ancora, malgrado tutte le emozioni ed il senso di inferiorità rispetto a quei super-atleti che mi precedevano con passo baldanzoso e scarpette chiodate (io avevo, per tutte le gare, un vecchio paio di scarpe delle tre province). Poi ho scoperto con soddisfazione di non essere ultimo. Poi ho udito il respiro affannoso di quello dietro di me che, più di me, cominciava ad accusare la fatica. Al terzo giro ho udito distintamente un “bravo Paolo!” gridato dal pubblico (mia moglie Gemma che non credeva ai suoi occhi). Ne avevo quattro dietro di me, potevo contentarmi. Dopo sei giri (a metà corsa) il gruppone che mi precedeva  si era notevolmente allungato ed i super atleti che erano scattati al colpo di pistola si sono rivelati esseri umani, soggetti alla fatica e, più di me, in debito di ossigeno. Ho superato un portoghese, poi un inglese, poi un tedesco. Confesso che, ad ogni sorpasso, ho provato una immensa soddisfazione. Poi ancora un grido di incoraggiamento: “dai Paolo!”. Ho preso coraggio ed ho cominciato a valutare la testa della corsa. Con oltre mezzo giro di distacco c’era il primo, un cileno dai lunghi capelli che se ne era andato in solitudine. Ma a poco più di 50 metri da me c’era un terzetto che andava della mia stessa andatura ed ho deciso di andare a prenderli. In meno di un giro, questa volta peccando di presunzione, ho colmato il distacco. Quando però mi sono accodato al terzetto (un australiano, un canadese ed un neozelandese) ho cominciato a sentirmi il cuore in gola: non ce la facevo più. Potevo accontentarmi, ero inaspettatamente al quinto posto ma mancavano ancora tre giri alla conclusione e chi sa se potevo resistere con il terzetto fino all’arrivo. Al suono di campana dell’ultimo giro il neozelandese col cappellino ha superato gli altri due ed istintivamente gli sono andato dietro. Gli sono stato dietro fino all’ultima curva ma, prima ancora della retta di arrivo, mi sono dovuto arrendere. Ero terzo su 15 a livello mondiale: un risultato incredibile ed una grossa soddisfazione.

Ho descritto minuziosamente la prima corsa per raccontare le sensazioni che, anche a 70 anni, accompagnano  il piacere della corsa anche a livello competitivo. Tralascio di descrivere le altre competizioni (800, 1500 e 10000 metri) perché sarebbe noioso e ripetitivo. Dirò solo che l’appetito vien mangiando e che man mano che i campionati sono andati avanti mi sono abituato a dosare le energie, tanto da prendermi la rivincita sul neozelandese col cappellino che mi aveva battuto nei 5000 ed a presentarmi alla maratona conclusiva dei campionati in splendida forma fisica e mentale (non risentivo minimamente dei 1500 metri corsi la sera prima ed anche la parte turistica era stata di piena soddisfazione). Si preannunciava comunque una giornata caldissima ed avevo il desiderio di portare a termine la corsa in quanto in maratona, come pure nella marcia, c’è la classifica a squadre e l’Italia, come la Spagna, la Russia e la Germania, aveva tre partecipanti.

A differenza di Vienna, dove avevo iniziato la maratona a tempo di valzer, con un passaggio al decimo Km di 50 minuti, a San Sebastian, su pressante consiglio di Gemma, me la son presa comoda (un’ora al decimo Km, 2h e 10 a mezza maratona). Il motivo di questa cautela  oltre al desiderio di portare a termine la gara consentendo all’Italia di competere nella gara a squadre, era dovuto al fatto che il circuito prevedeva il passaggio della maratona ben quattro volte dalla zona stadio, sotto gli occhi vigili di Gemma, e che per un preciso accordo tra le parti, avevo promesso di non continuare la gara se non fossi stato in condizioni fisiche più che accettabili ad ogni passaggio.

E’ così che, trovatami una tranquilla compagnia di maratoneti e maratonete che andavano del mio passo, ho superato per ben tre volte positivamente l’esame-Gemma (una volta fermandomi addirittura a farmi fotografare). Mi sono anche goduto l’incantevole scenario della baia, rendendomi conto che il nome della spiaggia (la Concha) corrispondeva perfettamente al significato della parola (conchiglia). Poi, mano a mano che sono aumentati il caldo e la fatica, mi sono reso conto che i nordici soffrivano il caldo in modo terribile e che per me, mediterraneo, forse era venuta la grande occasione. Il mio rivale diretto, il tedesco numero 70227 (l’inizio del numero di pettorale corrisponde alla classe di età) mostrava una incredibile sofferenza: prendeva la bottiglia di acqua e, invece di bere, se la versava sulla testa (io invece giudiziosamente bevevo acqua +sali). Inoltre deviava dal percorso per scegliere un po’di ombra (io invece mi tenevo bagnato il mio cappellino “Il Tirreno”). Ho deciso di abbandonare il tedesco senza pietà (al traguardo aveva da me oltre mezz’ora di distacco). Poi ho superato un mio coetaneo austriaco, costretto ad andatura di marcia.

Ad un rifornimento ho superato anche il mio coetaneo italiano Alvisio Mei dell’Atletica Massarosa di Lucca e, forte della consapevolezza di essere il secondo della squadra italiana (sul primo posto del fuoriclasse Acquarone nessuno poteva dubitare) ho capito che ormai la medaglia nella classifica a squadre era cosa fatta. Gli ultimi chilometri, a differenza di Vienna, sono stati tutti in discesa: l’arrivo dentro lo stadio gremito di folla una vera emozione. Poi il verdetto del computer nella classifica a squadre: Italia prima, Germania seconda. Fuori la Spagna e la Russia i cui concorrenti non hanno raggiunto il numero di tre classificati.

Poi la medaglia d’oro, strameritata: la ho regalata a Gemma.

 

 

 

 
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